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Libri per bambini sull'adozione: "Mamma di pancia mamma di cuore"

Com’è nato Mamma di pancia mamma di cuore, il libro per bambini sull’adozione firmato da Anna Genni Miliotti? Se bambini italiani e indiani immaginassero un nuovo finale, quale sarebbe? In questa testimonianza, l’autrice racconta la genesi del libro e un progetto speciale arrivato oltre oceano.


La scrittura e poi la pubblicazione di “Mamma di pancia mamma di cuore” sono state accompagnate da eventi “magici”. Tutto è nato da una pizza con alcune madri adottive che mi avevano contattato su Facebook. Ci eravamo scoperte vicine, perché non incontrarci? A cena iniziarono i racconti, e uno mi colpì in particolare: Cristina parlò delle prime vacanze in Italia con la figlia adottata a Cochin, in India. Erano in campeggio e, sotto la doccia, la bambina iniziò con le domande :“ma io sono nata dalla tua pancia?”, chiese, a cui seguirono altri interrogativi ugualmente difficili

Da quella storia vera prende spunto il libro, che già avevo in mente, sul tema dell’adozione. Cristina Bacci ha poi collaborato prestando delle foto scattate nella shishu bhavan di Madre Teresa di Calcutta a Cochin, da cui Cinzia Ghigliano ha preso spunto per alcune illustrazioni. No ho potuto citare l’ordine di Madre Teresa per riservatezza, ma una copia del libro è stata portata da una madre adottiva nella sede romana dell’ordine, e consegnata personalmente a Madre Charmain (stesso nome della direttrice della casa dei bambini della mia storia).

Un’altra grande magia è stata la presentazione del libro al Salone di Torino. Tra il pubblico, si alzò una bambina indiana adottata di nome Sheffali, proprio come la protagonista! Intervenne aggiungendo un particolare alla storia: “Devi scrivere che fuori dalla shishu bhavan, sopra la culla di paglia, c’è una piccola campana: la mamma la suona e subito accorre una suora per accogliere la bambina!”.

Ma la sorpresa delle sorprese è stato il viaggio del libro verso l’India, nella valigia di due amiche indiane, che avevo ospitato in Toscana. Lo avevo regalato loro con la traduzione in inglese, opera di Penny Callan Partridge, un’amica scrittrice americana molto attiva nel mondo dell’adozione, che se ne era innamorata. Il libro, dal titolo inglese “A summer of questions”, fu portato al direttore di un noto college di Bangalore, l’Holy Cross Brhothers School, che mi contattò con l'idea di coinvolgere i suoi alunni. Così, con alcune maestre indiane, ho elaborato un progetto di scrittura che ha portato gli allievi delle quarte e delle quinte a creare il loro testo, dal titolo “The trip of the bottle”. Per i bambini, il finale di "Mamma di pancia mamma di cuore" è aperto: nessuno dice dove va a finire la bottiglia con il messaggio per la mamma di pancia, lanciato da Seffali nelle onde del mare. Certo, per noi adulti il racconto è terminato, ma per un bambino no: che fine farà la bottiglia? Chi la troverà? Arriverà a destinazione? Se Rajata leggerà il messaggio, cosa succederà? Ecco, gli alunni del college hanno immaginato proprio il viaggio della bottiglia e del suo prezioso messaggio. 

In Italia avevamo fatto lo stesso progetto, un concorso in collaborazione col Miur. I testi dei nostri bambini erano pieni di amore, di ricongiungimenti a lieto fine tra la bambina adottata, la madre indiana e quella adottiva. Molti si erano immaginati una famiglia allargata, in Italia, con le due mamme che abitano in case vicine. Oppure delle vacanze combinate tra Sheffali e le due mamme, nei due Paesi. Cosa avevano scritto, invece, i bambini indiani? Che finale avevano immaginato?

L’avrei scoperto proprio in India, e proprio incontrandoli nella loro scuola, a Bangalore, nella regione del Karnataka. Qui sono stata invitata e ospitata per alcuni giorni nel college, una scrittrice italiana insieme ai professori indiani. L’emozione? Tanta! Gli incontri? Indescrivibili! Un mondo così lontano che attraverso un libro si fa vicino, e un lavoro, il mio, che apre le porte e supera gli oceani.
Sono entrata in punta di piedi nelle classi, dove ogni piccolo scrittore mi ha letto il suo finale. Io seduta, loro in piedi, sussurandomelo quasi all’orecchio, con quella gentilezza e compostezza propri della cultura di quel Paese. E le loro storie? Molto diverse da quelle italiane. Pochissimi i finali “e vissero felici e contenti”: la bottiglia non sempre giunge a destinazione, può perdersi in mare o restare incagliata nel fango sulla spiaggia, oppure arriva, e mamma Rajata si commuove, certo, ma decide per il bene della sua bambina di non rispondere: lei sta bene, è felice, perché turbarla? L’India è un Paese difficile, nel mio libro ne tratteggio la realtà, che è quella che sta dietro alle tante storie di “abbandono”: la povertà è tanta, molti vivono per strada, ma tutti mantengono una dignità e seguono una loro filosofia di vita, diversa dalla nostra, e con profonde radici nella loro antica storia e cultura. Il mio viaggio mi ha fatto comprendere meglio le distanze e come si può coniugare l’amore nelle sue diverse interpretazioni: in India amore si lega a rinuncia e accettazione delle fatalità. Non tutto si può cambiare, il destino va accettato per quello che è e, quando si ama veramente, si rinuncia all’altro per amore.

Così mamma Rajata, che io avevo raffigurato nella sua rinuncia a Sheffali, portata nella casa dei bambini per darle la possibilità di una vita diversa, è la stessa Rajata descritta dai bambini indiani, che rinuncia per amore. La loro Rajata, infatti, non si ricongiunge con Sheffali: ha letto il suo messaggio, sa dove vive, con dei genitori amorevoli in una casa accogliente, e decide di lasciarla nuovamente, e per sempre, libera di vivere la sua nuova vita. In definitiva, avevamo scritto la stessa storia. Che magia la scrittura!


 

(Clicca sulle immagini per ingrandirle)




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