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Mese delle Stem: il ritratto di Barbara McClintock

Il mese delle Stem (acronimo di science, technology, engineering e math) vuole sensibilizzare gli studenti allo studio delle discipline scientifiche e tecnologiche, superando il divario di genere. Solo il 38% delle ragazze indirizza, infatti, il percorso formativo e professionale verso le discipline cosiddette Stem, e le ragioni sono da ricercare anche negli stereotipi che vogliono le donne meno predisposte verso tali materie (per saperne di più sul mese delle Stem clicca qui).

In occasione di questa iniziativa, abbiamo chiesto a tre autrici di raccontare altrettante donne nella scienza. Qui proponiamo l'intervento di Cristiana Pulcinelli su Barbara McClintock.

Barbara McClintock e il Nobel inatteso

di Cristiana Pulcinelli, autrice di Pannocchie da Nobel

La mattina del 10 ottobre 1983 Barbara McClintock si svegliò nella casa dove viveva da sola e, come ogni mattina, accese la radio per ascoltare il notiziario prima di fare ginnastica. Scoprì così di aver vinto il premio Nobel per la categoria fisiologia e medicina, prima donna a ricevere il riconoscimento senza dividerlo con un uomo. “Se avessi avuto il telefono – commentò successivamente – forse qualcuno mi avrebbe avvertito”. Ma il telefono in casa non c’era: Barbara non voleva essere disturbata. La scienziata aveva 81 anni e ancora tutti i giorni percorreva il breve tratto di strada che separava la sua casa dal laboratorio di Cold Spring Harbor per andare a lavorare con le sue adorate pannocchie.

Proprio il suo lavoro sulle pannocchie di granturco le fece vincere il Nobel: negli anni Cinquanta, Barbara McClintock, studiando la genetica di queste piante, aveva infatti scoperto i trasposoni, porzioni di DNA che si spostano da un cromosoma all’altro. Una scoperta che solo alla fine degli anni Settanta mostrò tutta la sua importanza per lo studio delle mutazioni genetiche. Per anni nessuno scienziato credette a quello che Barbara aveva visto al microscopio perché contraddiceva tutto quello che i biologi sapevano all’epoca: i geni, si pensava, sono immobili. Ma Barbara non si perse mai d’animo: continuò le sue ricerche da sola, senza appoggi, con pochi fondi, spesso additata come pazza.

Del resto, era abituata ad essere guardata come una persona “diversa”. Anche da piccola, non era come le altre bambine: non amava i vestiti e i gioielli, non amava le carezze della mamma e le coccole, non le piaceva suonare e cantare come facevano tutte le ragazze borghesi dei primi del Novecento. Amava invece giocare a pallone, aggiustare il camion dello zio, stare da sola a pensare come sono fatte le cose che ci circondano. E, raggiunta l’età del matrimonio, Barbara andò contro il volere della madre: invece di sposarsi, si iscrisse all’università. Le donne all’epoca non potevano frequentare i corsi di genetica, ma Barbara, grazie alla sua cocciutaggine, riuscì a seguirli. Fu la prima a tagliarsi i capelli e a indossare pantaloni nella sua università. Non le importava cosa pensasse la gente, per lei l’importante era studiare. E quando era immersa nelle sue ricerche, Barbara perdeva qualsiasi contatto con la realtà, dimenticando perfino il suo nome. Proprio queste sue caratteristiche “curiose”, però, diventarono i suoi punti di forza e ne fecero una delle più importanti scienziate del secolo scorso.

immagine per STEM




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